Semplificare l'Italia

Parla il sottosegretario di Stato all'Innovazione "Entro il 2030 cablaggio di tutto il Paese"

Data 27 febbraio 2023
Fonte

Corriere della Sera

Argomenti InnovazioneTrasformazione digitaleItalia digitale 2026

Come dobbiamo vedere il bicchiere: mezzo pieno o mezzo vuoto? L'indice Desi (Digital economy and society, index) informa che nel 2022 l'Italia ha guadagnato due posizioni nella classifica europea relativa alla digitalizzazione (spinta da fatturazione elettronica e cloud). Bicchiere mezzo pieno? Insomma: scorrendo il ranking si vede che in realtà siamo appena saliti dal 20° al 18° posto (su 27) avanti solo a Rep. Ceca, Cipro, Croazia, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania e che siamo in mostruoso ritardo su formazione e Pubblica amministrazione. Bicchiere mezzo vuoto? Non proprio, perché con il Pnrr abbiamo 48 miliardi di euro da investire sul digitale. Quindi, come sta davvero l'Italia digitale?

«Negli ultimi 4-5 anni c'è stato un innalzamento delle nostre performance ma è devastante vedere nazioni con un passato tecnologico meno felice del nostro occupare stabilmente posizioni migliori precisa Alessio Butti, sottosegretario di Stato con delega all'Innovazione -. Dobbiamo far crescere contemporaneamente l'aspetto della connettività e del cablaggio del Paese insieme alle competenze digitali. Ma in mezzo c'è tutto il resto: Internet delle cose per una smart nation, digitalizzazione della Pa, della scuola e delle strutture sanitarie, telemedicina, fascicolo sanitario». Eletto al Senato nelle liste di Fratelli d'Italia, Butti presiede anche il comitato interministeriale per la trasformazione e la transizione digitale «perché ogni nostra iniziativa impatta competenze e deleghe di almeno altri sette ministeri».

Ribadisce l'importanza del concetto di «semplificazione». Ma c'è chi invoca piuttosto una «decertificazione»: le tecnologie non ci mancano, ora non sarebbe meglio chiedere meno certificati ai cittadini?

«Dobbiamo semplificare altrimenti non riusciamo a digitalizzare. Il problema riscontrato negli anni scorsi era un'imposizione dirigistica su questioni che riguardavano l'innovazione da parte di soggetti che non conoscevano la Pubblica amministrazione. Il mio dipartimento ha costituito una commissione di esperti sulla Pa con il compito di indicare la strada della semplificazione delle attuali procedure per poi digitalizzarle. Dobbiamo rendere interoperabili tutti i sistemi e fare in modo che un cittadino possa richiedere un certificato per via digitale senza che gli vengano richiesti per la centesima volta dati e password, che poi dovrebbero essere già patrimonio della Pa. Di conseguenza arriverà la decertificazione, che è fondamentale».

Sta lavorando al "testo unico sull'innovazione". Di che si tratta?

«Se si analizzano i provvedimenti legislativi degli ultimi anni, in ognuno si troveranno misure che riguardano innovazione e digitalizzazione. L'architettura legislativa su cui reggono innovazione e transizione digitale è sparsa in centinaia di testi legislativi. Bisogna arrivare a un testo unico dell'innovazione. Un percorso complicato, ma realizzabile in un anno e mezzo o due. È un'altra semplificazione che possiamo fare non solo razionalizzando gli impianti legislativi ma coinvolgendo anche gli stakeholder».

Perché gli stakeholder?

«Vogliamo attivare lo strumento delle sandbox normative, una novità che consente di sperimentare le proposte: se la sandbox darà esito positivo, il prodotto verrà inserito nella legge. Per qualsiasi questione, si chiamano gli stakeholder e si dà un tempo definito la sperimentazione può durare 3 mesi, 6 mesi, un anno, dipende dall'entità della variazione che si intende apportare poi una commissione di esperti valuterà se la modifica potrà portare un buon servizio al Paese. Allora si inserirà nell'impianto legislativo».

Come state destinando i fondi del Pnrr e come controllerete l'uso che se ne farà?

«Erogare è più facile, controllare meno. Ma ci siamo riusciti. Bisogna essere un po' critici: il Pnrr non ci dà la possibilità di scegliere la qualità del progetto. Per esempio, i fondi sui Comuni sono stati erogati in funzione delle questioni geografiche. È evidente che in questo modo si prospetta il rischio di non riuscire a spendere tutte le risorse. Per il confrollo abbiamo a disposizione un gioiello: si chiama "PA digitale 2026" ed è una piattaforma frequentata dalla quasi totalità dei Comuni italiani (sono poco meno di 8.000). Noi abbiamo inserito otto misure e i Comuni verificano l'offerta e decidono quale provvedimento adottare per la loro amministrazione (e che pagheremo noi con denaro pubblico). La piattaforma prevede verifiche rigide quindi noi paghiamo solo alla fine, quando vediamo che la misura è stata davvero implementata».

Quanto è difficile far capire a tutti i cittadini che digitalizzare significa effettivamente semplificare?

«Al cittadino basterà girare con il suo smartphone che fungerà da wallet: all'interno troverà la sua carta d'identità elettronica, la patente ma anche la possibilità di accedere in modo immediato a qualsiasi servizio della Pa. Ma bisogna spiegarlo bene perché in molti considerano la digitalizza zione una complicazione. Per questo ho definito l'ingaggio di Marco Camisani Calzolai, l'esperto di comunicazione digitale che si vede già su Striscia la Notizia: abbiamo bisogno di qualcuno che spieghi con la sua semplicità l'importanza del digitale dando una veste istituzionale a quello che comunica. E con il ministro Abodi abbiamo avviato il Servizio civile digitale per sviluppare le competenze dei cittadini, favorendo la loro interazione con i servizi offerti dalle Pa».

Si dice che ogni nuovo governo fa come Penelope con la tela: smonta tutto quello fatto dal precedente. Il destino dello Spid è segnato...

«Uno Stato serio deve essere l'unico a poter disporre ed erogare certificati di identità anche digitale, mentre Spid usa identity provider privati. Dobbiamo far tesoro delle esperienze positive del passato, senza nuove complicazioni per i cittadini. Oggi abbiamo carta d'identità elettronica, carta nazionale dei servizi e Spid ma si deve arrivare a un unico strumento anche perché l'Ue ha già fatto delle scelte con il portafoglio digitale europeo e per l'identità elettronica richiede un livello di sicurezza 3. Oggi l'unico strumento così sicuro è la carta d'identità elettronica. Non facciamo come Penelope: non stiamo smontando ma andando avanti».

La formazione digitale è il nostro tallone d'Achille.

«Abbiamo fatto molto con le imprese. Nella Pa è più difficile, un po' perché un milione di dipendenti è in fase anagrafica discendente per quanto riguarda la parabola lavorativa. Ed è difficile entusiasmarli. Dobbiamo investire di più».

Come arriverà l'Italia alla fine del "decennio digitale"?

«Cablata. Ma non succederà quello che ci hanno detto negli ultimi anni: non avremo l'Italia cablata nel 2026 con la Ftth (fiber to the home), non è possibile. Le responsabilità vanno chiarite e ci stanno mettendo in difficoltà per quanto riguarda target e milestone per il Pnrr. Sono stati addirittura sbagliati i bandi. Adesso abbiamo necessità di far correre la fibra ovunque, e laddove non riusciamo (montagne e valli) dobbiamo ragionare con Fwa, le onde radio: non possiamo lasciare fuori 3.500 comuni montani. Se non cabliamo questo Paese non ci sarà mai il 5G che tutti chiedono».

Intervista di Alessia Cruciani uscita sull'edizione cartacea del Corriere della sera il 27 febbraio 2023