Intervista del Sottosegretario Butti a l'inserto "L'Economia" del Corriere della Sera
Cie, patente, tessera sanitaria. Tutte e tre elettroniche in un'unica app. I test in estate, a fine anno le prime attivazioni.
Corriere della Sera
A inizio 2025 gli italiani potrebbero averlo già in tasca, sul telefono. È il portafoglio digitale, il primo passo verso il sistema che la Commissione Ue chiama European Digital Identity (EUDI) Wallet, che dal 2026 dovrà essere progressivamente disponibile nei Paesi dell'Unione. Il «wallet» al quale il governo italiano sta lavorando accoglierà, via via, la carta d'identità, la patente, la tessera sanitaria e la carta europea della disabilità. «La nostra scommessa è di anticipare ampiamente il wallet europeo ed essere i primi nella Ue a disporre del portafoglio digitale nazionale», dice Alessio Butti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che guida il Dipartimento per la trasformazione digitale.
Scontiamo un ritardo storico nella digitalizzazione del Paese. Come pensate di attivare l'It-wallet in poco più di sei mesi?
«Il cambiamento è iniziato, stiamo raccogliendo dati molto incoraggianti sulla carta d'identità elettronica, la Cie. L'It-wallet può essere un acceleratore. Quest'estate inizieremo i test e per fine 2024 attiveremo progressivamente il sistema del portafoglio, che potrà essere a regime già all'inizio del nuovo anno. Intanto, insisto, la carta d'identità elettronica corre».
Quali sono i numeri?
«Nei primi tre mesi dell'anno sono cresciuti dell'87% gli accessi ai servizi online della pubblica amministrazione via carta d'identità elettronica. La campagna istituzionale via tv e social "Cie già" ha portato in poche settimane 600 mila italiani a utilizzarla. Solo nei primi tre mesi, gli accessi sono stati 18 milioni contro i 36 milioni dell'intero 2023. I dati dicono che stiamo andando nella giusta direzione, la risposta dei cittadini è superiore alle attese, segno che c'è una crescente disponibilità a digitalizzarsi. Insomma, il quadro sta evolvendo e l'utilizzo della carta d'identità elettronica può essere anche un'occasione per migliorare le competenze digitali della popolazione».
La Cie è anche il superamento dello Spid?
«I due sistemi convivono e i numeri non sono ancora gli stessi. Abbiamo valorizzato il patrimonio di Spid e siamo stati il primo governo a stanziare 4o milioni per gli identity provider. In prospettiva però, con l'adozione del regolamento europeo, andremo verso l'identità digitale unica gestita dallo Stato, la Cie per l'appunto».
Perché è importante avere un'identità digitale?
«Ci sono tanti ottimi motivi: la semplificazione della vita delle persone, l'efficienza della pubblica amministrazione, il risparmio di risorse, la sicurezza. Uno degli sviluppi più attesi è quello della raccolta dei dati, anonimi, sullo stato della salute della nostra popolazione».
Più digitalizzazione pone il tema di più sicurezza.
«Certo, i documenti digitali sono protetti da più livelli di sicurezza».
Anche l'intelligenza artificiale pone il tema della sicurezza.
«Sì. Per il governo è una priorità assicurarne lo sviluppo di termini di qualità e sicurezza. Saremo tra i primi, d'altronde, a legiferare in materia in linea con quanto previsto dall'AI Act della Ue. Il disegno di legge è stato approvato lo scorso 23 aprile dal Consiglio dei ministri e a breve inizierà il suo iter parlamentare. La scelta del ddl rispetto al decreto-legge non è casuale, poiché vogliamo mantenere aperto il dialogo con tutti i soggetti coinvolti, a partire dalle imprese».
Cosa chiedono le imprese?
«Le piccole e medie imprese hanno la necessità di restare in stretto contatto con la ricerca e l'università. Stiamo lavorando alla rete dei centri di calcolo in collaborazione con il Cineca di Bologna dove c'è il supercomputer Leonardo. Sotto il coordinamento dello stesso Cineca saranno decentrate tre o quattro strutture di supercalcolo in altrettanti distretti industriali che, sempre coinvolgendo le università, daranno il supporto necessario alle imprese. Specie se piccole e medie, le imprese non possono permettersi di avere al loro interno una struttura interamente dedicata all'intelligenza artificiale. È molto costoso, complesso e richiede nuove competenze che vanno formate insieme alle università. Anche la pubblica amministrazione ha bisogno del supercalcolo e delle nuove competenze».
Francia e Germania lavorano alla creazione dei campioni nazionali, ed europei, dell'intelligenza artificiale. L'Italia?
«Ci stiamo lavorando. Il "campione" italiano nascerà dal coinvolgimento di più soggetti e dal partenariato pubblico-privato. Nessuno Stato è in grado far tutto da solo, servono risorse ingenti e investimenti importanti da parte dei privati. Noi, come già annunciato, abbiamo messo in campo un miliardo di euro attraverso Cassa depositi e prestiti venture. Un investimento che attrarrà nuovi capitali e per il quale si stima un valore finale molto più consistente della somma menzionata».
Che ruolo avranno le grandi partecipate pubbliche?
«Un ruolo molto importante: i grandi gruppi di Stato promuovono l'innovazione tecnologica e lo sviluppo dell'ecosistema dell'AI italiana».