Intervista al Sottosegretario di Stato Alessio Butti a "Panorama della sanità"

Butti: "Alla fine di questo percorso avremo la certezza di aver compiuto un grandissimo sforzo, con benefici tangibili e duraturi, per tutti"

Intelligenza artificiale, Fse, cybersecurity e riduzione del digital divide. Alessio Butti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'innovazione tecnologica, spiega come l'Italia stia guidando la trasformazione digitale della sanità.

Data 06 novembre 2025
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Panorama della sanità

Sottosegretario, andiamo dritti al punto: il digitale sta modificando la sanità nel suo complesso e in particolare tutte le fasi della presa in carico del paziente, (dalla prevenzione alla cura, fino al postricovero, attraverso strumenti come la Cartella Clinica Elettronica, la Telemedicina, l'Intelligenza Artificiale e le Terapie Digitali). Quali sono gli obiettivi, target e strategie che possano ridisegnare l'organizzazione e la governante del Sistema sanitario in chiave digitale?

"È la tecnologia nel suo complesso, di cui la parte digitale è una componente, che sta trasformando il sistema sanitario. Come sottolinea lei correttamente, la trasformazione è guidata da una combinazione - che noi vogliamo sia virtuosa - tra connessioni veloci, algoritmi, piattaforme e, appunto, digitalizzazione dei servizi. L'obiettivo è l'evoluzione da un approccio reattivo (il sistema sanitario interviene in risposta alla domanda di cure e assistenza) a un proattivo, in cui la sanità recepisce le richieste dell'utenza, ma riesce anche a prevenirle. Il target sono tutti i cittadini, ovunque si trovino. La strategia per arrivarci una combinazione tra innovazione, coregolazione (regioni, Stato centrale e Unione europea) e collaborazione (tra ricerca e sviluppo)."

Sappiamo quanto determinante, in positivo, possa essere il ruolo dell'innovazione tecnologica e della digitalizzazione in sanità ma, dal suo punto di vista, quali sono le principali criticità e i limiti nel loro impiego?

"Nel 1980 un celebre teorico politico statunitense, Langdon Winner, pubblicò un saggio divenuto molto influente negli anni a venire. In questo saggio Winner dimostra un concetto semplice ma potente: gli artefatti tecnologici hanno una dimensione politica. Tradotto: le tecnologie non sono neutrali. Spesso incorporano al loro interno gli squilibri sociali ed economici dei contesti in cui sono state sviluppate o in cui vengono applicate. Ecco, io credo che la sfida più grande per chi gestisce le politiche pubbliche della trasformazione digitale sia questa: ridurre il più possibile, o addirittura annientare, gli squilibri che possono generare le tecnologie. In ambito sanitario questi squilibri possono voler dire differenze nella qualità delle cure, causate da una migliore o peggiore capacità di adeguamento tecnologico dei territori e delle amministrazioni che li regolano. Oppure si può tradurre in deficit di competenze, sia lato utenza che professionisti del settore medico. Per questo le nostre politiche di innovazione tecnologica in campo sanitario sono sempre molto attente a colmare i gap che potrebbero generare."

L'intelligenza artificiale in sanità rappresenta un'opportunità senza precedenti, ma anche una sfida. Di cosa abbiamo bisogno per sfruttarne appieno le potenzialità e su quali aspetti dovremmo porre maggiore attenzione?

"Partiamo da una notizia positiva e molto importante: l'Italia è il primo paese al mondo che si dota di una legislazione nazionale organica sull'intelligenza artificiale. Lo abbiamo fatto nel solco delle regole europee, per rimarcare e definire meglio i profili che ritenevamo più importanti e prioritari: la sicurezza e gli investimenti, per citarne due. Dunque, la prima cosa di cui avevamo bisognol'abbiamo ottenuta: un perimetro di regole chiaro, non intrusivo, ma - al contrario - stimolante per gli operatori di mercato e per gli investitori. Ora abbiamo bisogno di far muovere questi ingranaggi: attraendo investimenti e sviluppando applicazioni sicure e accessibili, che aiutino il nostro sistema sanitario a evolvere nella direzione che dicevamo prima: cure migliori, per tutti. Questa sfida si vince lavorando insieme. Lo stiamo facendo. Insieme significa mettere allo stesso tavolo a confrontarsi il governo, le amministrazioni regionali, gli operatori tecnologici, le organizzazioni di categoria e naturalmente tutti i professionisti del settore medico. Da questa collaborazione ci aspettiamo un salto quantico nel futuro della sanità tecnologica che stiamo creando."

La discussione etica sull'AI è molto accesa. Soprattutto per quanto riguarda l'utilizzo dei dati sensibili. Quale secondo lei il confine che dovremmo porci?

"È un confine molto sottile. Il perimetro è circoscritto da tre muri: le finalità con cui si utilizzano i dati, che devono essere legittime; la proporzionalità nell'utilizzo e le garanzie riconosciute ai titolari. Alcuni dati dovrebbero essere intoccabili. Soprattutto quelli che rivelano salute, orientamento, credo religioso, opinioni politiche, sindacalizzazione, dati genetici o biometrici o relativi ai minori. Le uniche eccezioni ammissibili a questo divieto di utilizzo dovrebbero essere le funzioni di interesse pubblico chiaramente definite (per esempio motivi di tutela della sanità nazionale) o la cura della persona, purché avvenga su base esplicitamente consensuale e informata. Quando invece l'utilizzo del dato è legittimo, dovremmo sempre chiederci: il risultato che vogliamo ottenere potrebbe essere ottenuto in modo equivalente con meno dati o con dati meno intrusivi? Questo, nella pratica, si traduce nell'evitare forme di "raccolta a strascico" dei dati. In ogni caso - ed è il terzo punto - è fondamentale che il titolare dei dati sia sempre informato e abbia sempre la possibilità di negare ìl consenso. Mi permetta di aggiungere una cosa proprio su questo punto: quando le persone percepiscono di avere un regime trasparente, sono ben disposte a condividere i propri dati. Guardi il caso del fascicolo sanitario elettronico. Qualcuno disse che gli italiani si sarebbero opposti in massa alla condivisione dei loro dati. È successo l'esatto contrario. Abbiamo informato in modo chiaro e gli italiani si sono fidati. Il fascicolo sanitario elettronico è stato percepito come un perimetro sicuro in cui condividere i propri dati sanitari, in cambio di un beneficio tangibile: cure sanitarie più efficaci e più veloci."

Nel Piano Triennale per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione 2024-2026 sono previste indicazioni per la sanità?

"Certamente, e sono misure importanti. Il Piano dedica una sezione intera al Fascicolo Sanitario Elettronico (Fse 2.0), definendolo ecosistema di dati di salute. Il Piano fissa anche i traguardi operativi: documenti digitai-nativi" e in formato standard entro il 2025, alimentazione del Fse da parte dell'85% dei medici di medicina generale nel 2025 e adozione/uso del Fse in tutte le Regioni entro il 2026.11 Piano chiarisce inoltre che nel 2024 è stato ridisegnato l'Ecosistema dei Dati Sanitari in logica federata. Ciò in previsione dello Spazio europeo dei dati sanitari. Il Fse 2.0 deve dunque garantire omogeneità nazionale, fungere da base dati per servizi di intelligenza artificiale e integrare piattaforme regionali e sistema centrale."

Un aspetto di grande interesse riguarda i'Fse. A che punto siamo?

"Il Fascicolo Sanitario Elettronico ha raggiunto nel 2025 una tappa decisiva verso l'obiettivo della piena digitalizzazione dei servizi sanitari in Italia. La versione Fse 2.0, avviata grazie a investimenti Pnrr è ora presente su base nazionale con un'infrastruttura molto più completa, interoperabile e accessibile rispetto agli anni scorsi. Sul piano operativo, tutte le Regioni hanno avviato o completato la transizione ai nuovi standard nazionali. entro la fine di settembre 2025, ogni Fascicolo dovrà includere obbligatoriamente il Profilo Sanitario Sintetico, compilato e aggiornato dai medici di base e dai pediatri. Il Fse permette la raccolta e la consultazione digitale di documenti come referti, prescrizioni, terapie, vaccinazioni e dispositivi medici, consentendo un utilizzo concreto sia da parte di professionisti sanitari sia da parte dei cittadini su tutto il territorio nazionale. I numeri testimoniano il salto di qualità: in alcune regioni virtuose, come l'Emilia-Romagna, 1'88% dei tipi di documenti previsti sono già disponibili digitalmente (contro una media nazionale del 74%) e il numero di cittadini che utilizza attivamente il Fse è in costante crescita. Il nuovo sistema punta a garantire assistenza personalizzata, migliore continuità delle cure, semplificazione dell'accesso ai dati e maggiore sicurezza per i pazienti."

Passiamo al Pnrr. Il Dipartimento per la trasformazione digitale (Dtd) ha raggiunto tutti i target previsti?

"Siamo in linea con i target previsti dal Pnrr che, vorrei ricordarlo, sono target estremamente sfidanti anche per un governo come quello guidato da Giorgia Meloni, che ha lavorato duramente e convintamente agli obiettivi del Piano dal primo giorno del suo insediamento. Ci sono alcune aree che registrano criticità maggiori, naturalmente, Ma nessuna di queste criticità è insormontabile. Oggi l'obiettivo è chiudere il Piano con il raggiungimento degli obiettivi a noi assegnati. Ma il punto vero è domani. Noi abbiamo già iniziato a ragionare sul post-Pnrr e sulle sfide che dovremo vincere una volta usciti dal quadro europeo di finanziamenti post-pandemici."

Per rendere strutturale l'innovazione potrebbero rivelarsi necessari nuovi strumenti finanziari ad hoc?

"L'innovazione si rende strutturale in tanti modi. La leva finanziaria è solamente uno di questi. Dunque, la mia prima reazione a questa domanda è che, senza una strategia chiara sulle competenze, sulla trasformazione del sistema educativo, sulla semplificazione della burocrazia e sulle sinergie tra mondo della ricerca e quello imprenditoriale, non potremmo mai strutturare l'innovazione. Vengo ora alla parte dei finanziamenti. Sono importanti ma, a mio awiso, solo se ci permettono di colmare i vuoti che oggi frenano la scalabilità delle innovazioni: calcolo, dati di qualità, sicurezza e competenze, In altre parole: gli strumenti "ad hoc" hanno senso quando spostano rischio e incentivi verso risultati misurabili, non verso la spesa in sé, e quando si integrano con appalti e standard tecnici che possano trasformare i progetti pilota in infrastruttura. Alcune idee che stiamo ponderando, sono i bond a esito, rimborsati solo se si raggiungono target verificabili (per esempio, nella sanità, la riduzione delle code sanitarie); incentivi per aprire Gpu e data platform qualificate a università e imprese; oppure e obbligazioni per infrastrutture digitali pubbliche (data center efficienti, reti, identità)."

Colmare i divari digitali: competenze e formazione al centro della trasformazione

Il nodo da sciogliere è però quello legato all'utilizzo delle opportunità digitali. Partiamo con le "competenze". Una variabile importante da intendere sia lato medico (necessità di una formazione del personale) sia lato paziente con l'obiettivo di ridurre il divario digitale (digital divide) che interessa gran parte della popolazione. Su questo stiamo facendo abbastanza?

"Nel campo della trasformazione digitale, "abbastanza" è un concetto insidioso e difficile da definire. Ciò premesso, io credo che le misure ridurre i divari digitali che affliggono il nostro Paese sono adeguate e lungimiranti. Quando abbiamo preso in mano la guida del Paese la situazione era francamente disastrosa. Lato popolazione, i piani di formazione delle competenze in corso riuscivano a soddisfare solo una parte della domanda di formazione, condannandoci fondamentalmente a rimanere indietro rispetto ai target europei. Siamo intervenuti rinforzando i programmi esistenti e creandone di nuovi. Abbiamo deiocalizzato le strutture del Dipartimento, per avvicinare la governance digitale alle esigenze del territorio. Abbiamo sviluppato una rete capillare di punti di facilitazione digitale, il cui scopo è esattamente quello che il nome suggerisce: facilitare e semplificare le interazioni digitali dei cittadini, di ogni età ed estrazione sociale. Lato medico, le misure per l'innovazione non erano allineate a quelle per l'aggiornamento delle competenze esistenti e la formazione sulle nuove competenze. Noi abbiamo adottato un principio olistico: per ogni innovazione che introduciamo prevediamo piani per accompagnare l'aggiornamento delle competenze esistenti. In questo modo garantiamo un binario parallelo tra innovazione e governance consapevole e responsabile da parte degli addetti ai lavori."

I grossi divari sono legati al territorio e all'età? C'è una prospettiva a lungo termine volto a colmare le distanze?

"Entrambe le cose. Da una parte, è innegabile che il fattore cronologico e generazionale giochi un ruolo importante nel divario tra popolazione dìgitalrnente competente e popolazione a rischio di esclusione digitale. Ma per questo, come ho detto prima, abbiamo oggi programmi di formazione capillari. Lo dimostra il fatto che l'Italia sta rapidamente scalando le classifiche europee delle competenze digitali. Un premio al nostro lavoro. Dall'altra parte, è innegabile che i territori possono essere parte del problema. Da questo punto di vista il nostro Paese presenta una configurazione "a macchia di leopardo". Aree ad avanzato sviluppo tecnologico sono affiancate da aree che potremmo definire "tecnologicamente depresse". Anche qui abbiamo lavorato per risolvere il problema. Le connessioni veloci, le misure per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni (inclusi gli ospedali) e la rete territoriale del Dipartimento sono i nostri ingredienti per livellare, verso l'alto, la digital readiness del nostro Paese."

La sanità del futuro è già iniziata: connettività, sicurezza e innovazione al centro

Piano Sanità Connessa: obiettivi raggiunti?

"Ci siamo quasi. Il Piano Sanità Connessa - che è parte integrante della strategia di digitalizzazione della sanità pubblica italiana - ha registrato progressi significativi negli ultimi due anni. Il completamento degli obiettivi è in corso. L'obiettivo principale era garantire connettività ultraveloce (tra 1 e 10 Gbps) a circa 12.000 strutture sanitarie, dagli ambulatori agli ospedali, come prerequisito essenziale per lo sviluppo di servizi digitali avanzati: telemedicina, interoperabilità dei dati clinici, intelligenza artificiale e digitalizzazione delle pratiche sanitarie. Siamo a oltre 6.300 strutture ospedaliere già collegate a reti a banda ultralarga, portando la connettività veloce dove prima era assente o insufficiente. Attraverso il portale PA Digitale 2026 sono stati finanziati oltre 550 progetti di digitalizzazione, presentati da più di 200 enti del Servizio Sanitario Nazionale, con una spesa a oggi di circa 300 milioni di euro. La nuova rete, di proprietà pubblica, ha innescato una dinamica positiva anche sull'adozione del Fascicolo Sanitario Elettronico e sulla fruibilità di servizi di telemedicina, telemonitoraggio e prenotazione digitale. Anche qui, i riconoscimenti al nostro lavoro sono già arrivati. Questa spinta ha prodotto anche risultati apprezzati a livello europeo: l'Italia ha migliorato il suo punteggio europeo in materia di E-Health, crescendo di 13 punti (dal 71% all'84%), superando la media Ue e ricevendo una valutazione positiva nel Digital Decade Report. La roadmap nazionale prevede il completamento degli interventi infrastrutturali entro il 2026, con il potenziamento delle reti in ulteriori 4.700 edifici e la diffusione degli apparati terminali necessari."

Oltre a dotarsi di una strategia per l'Intelligenza Artificiale 2024-2026, l'Italia è il primo Paese europeo ad aver presentato un disegno di legge nazionale sull'AZ. C'è qualcosa che potremmo invece prendere come esempio dall'Europa?

"Non lo abbiamo solo presentato. Lo abbiamo approvato. Come dicevo prima, questa legge ci consentirà di attrarre investimenti, stimolare le idee imprenditoriali più promettenti tutelare i nostri asset strategici e naturalmente rafforzare le garanzie per i cittadini. Oggi l'Europa attraversa una fase delicata, schiacciata a destra e sinistra da potenze economiche che dominano nel campo dell'innovazione tecnologica, inclusa l'intelligenza artificiale. Questa è una sfide ancora aperta. L'Europa però ha un punto di forza, che gli altri Paesi non hanno. Ha messo davanti le esigenze delle persone, i diritti. Anche se non dovremmo mai consentire alle leggi di soffocare l'innovazione e la crescita, non possiamo nemmeno abdicare alle garanzie per i nostri cittadini. Questo, credo, sia il modello europeo da difendere."

Quando si parla di digitale non si può non menzionare la questione sicurezza. Da gennaio 2022 a giugno 2024, in Italia, si sono verificati più di 25 eventi ransomware ai danni di questo delicato settore, interessando quasi 50 tra strutture sanitarie, presidi ospedalieri e servizi sanitari. Come prosegue la messa in sicurezza di dati e servizi della sanità italiana?

"La sicurezza è un altro intervento gemello di qualsiasi intervento di digitalizzazione. Attraversiamo una fase storica critica, nella quale gli asset digitali - a partire dai dati, ma non solo: pensate anche alle infrastrutture di rete - diventano obiettivi strategici per attacchi da parte di attori terzi. Ragionare di innovazione e trasformazione digitale senza avere la sicurezza come priorità assoluta, significherebbe consegnarsi alle intrusioni esterne. A livello operativo e normativo,sono state adottate diverse azioni. A giugno 2025 è stato pubblicato un avviso pubblico da 35 milioni di euro per finanziare la migrazione dei dati sanitari al Polo Strategico Nazionale, con priorità assegnata a servizi critici. Le strutture vengono incentivate a rinnovare le infrastrutture obsolete e formare il personale sulle buone pratiche di cybersecurity, superando criticità storiche come sistemi operativi datati o prassi insicure. L'implementazione dell'Ecosistema Dati Sanitari, piattaforma nazionale sicura per l'interscambio centralizzato dei dati sanitari, apporterà un forte miglioramento nell'identificazione degli accessi, nella cifratura delle informazioni e nel monitoraggio degli accessi, standardizzando i livelli di sicurezza su tutto il territorio entro i12026. La combinazione tra investimenti, evoluzione normativa, migrazione in cloud pubblico qualificato, diffusione di strumenti di detection e risposta, e focus sull'awareness del personale, segna un cambio di passo nella resilienza digitale della sanità italiana."

Altra questione riguarda il delicato equilibrio tra diritto all'innovazione e quello alla privacy. Come possiamo raggiungere il giusto bilanciamento tra i diversi diritti in gioco?

"Non credo a coloro che dicono che la riservatezza e l'innovazione non siano conciliabili. Se fosse vero, ci troveremmo davanti una scelta che, in qualsiasi direzione si muovesse, produrrebbe risultati svilenti. Noi invece stiamo lavorando a un'innovazione che sia rispettosa dei diritti individuali e collettivi, che sia etica e che sia inclusiva. Le faccio un esempio, proprio in campo sanitario: il fascicolo sanitario elettronico. È una tecnologia che interessa una sfera molto riservata di informazioni. Ma questo non significa che quelle informazioni non possano essere trattate tecnologicamente, nel rispetto di protocolli di sicurezza rigorosi. Infatti, come dicevo prima, gli italiani lo hanno capito e ci hanno seguiti. Un altro esempio di questo tipo è il digital wallet. Anche qui abbiamo dimostrato che si può innovare e competere senza dover rinunciare ai diritti."

Allargando l'orizzonte, e guardando alla sanità nel suo complesso, le chiedo di indicarmi tre cose che, più d'ogni altro, necessità il nostro Ssn?

"Abbiamo bisogno prima di tutto delle persone. Non mi stancherò mai di dirlo ma qualsiasi innovazione ha bisogno della componente umana per poter funzionare e produrre i benefici attesi. Ecco spiegato il motivo degli investimenti ingenti in formazione e riqualificazione. Abbiamo poi bisogno di generare innovazione. Ho lanciato recentemente l'idea di un "dividendo di innovazione", attraverso cui restituire il valore dell'innovazione ai territori che l'hanno generato. I tecnici del Dipartimento sono al lavoro su questa idea. Il principio è chiaro: innoviamo e cresciamo grazie alle idee e i progetti virtuosi dei territori. Infine, abbiamo bisogno della massima collaborazione istituzionale. La sanità è un settore complesso. Coinvolge saperi e sensibilità molto diverse. Bisogna rinunciare ai campanilismi e lavorare in squadra. Solamente così riusciremo a raggiungere i nostri obiettivi."

Sottosegretario chiudiamo con una domanda personale: se dovesse scegliere uno, tra i tanti obiettivi che attendono risposte, quale la renderebbe più orgoglioso raggiungere?

"Chi, come me, ha la fortuna e la responsabilità di gestire un settore così complesso impara subito che fare figli e figliastri è la peggiore delle strategie. Come ho detto più volte, anche nel corso di questa intervista, un programma lungimirante di trasformazione tecnologica è l'insieme di più componenti - tutte a loro modo egualmente importanti. Potremmo avere l'intelligenza artificiale. Ma cosa ce ne faremmo senza un perimetro di sicurezza cyber adeguato? Potremmo creare le migliori piattaforme digitali per i servizi pubblici. Ma che senso avrebbero senza un sistema dì identità digitali affidabile? Insomma, alla sua domanda rispondo così: tutti gli obiettivi mi rendono orgoglioso. In questi anni di lavoro al governo ho avuto modo di essere fiero del lavoro svolto tante volte. Sono sicuro che accadrà ancora. Alla fine di questo percorso avremo la certezza di aver compiuto un grandissimo sforzo, con benefici tangibili e duraturi, per tutti. È, per tornare al punto iniziale, la bellezza di lavorare in un settore così affascinante e sfidante."