Intervista al Sottosegretario Butti a "Il Tempo"
Meno attività ripetitive. Le persone sempre più importanti dei robot.
IL TEMPO
«L'intelligenza artificiale non toglierà lavoro, lo cambierà riducendo le attività ripetitive. Ci saranno più contenuti creativi e le persone saranno sempre più importanti dei robot», ha spiegato in merito alla corsa allo sviluppo del digitale a Il Tempo Alessio Butti, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'innovazione tecnologica.
E una strada possibile? A che punto è l'Italia?
«È l'unica strada. È importante dare il giusto significato alla parola etica, che in questo caso non vuol dire IA buona, ma indica l'esigenza di una tecnologia che non sia condizionata dal pregiudizio (razziale, di genere...). Della formazione non si può fare a meno. Servirà rinnovare le competenze in coloro che dovranno cambiare il contenuto del proprio lavoro. La nostra è la società della formazione continua, condizionata dal ritmo elevato del cambiamento. Noi, come Paese, dobbiamo adeguarci e dobbiamo farlo subito, nelle scuole e nei luoghi di lavoro».
Meloni, leader del G7, ha annunciato che Papa Francesco parteciperà ai lavori sull'IA. Si tratta di una svolta storica?
«L'annuncio del Papa ha fatto il giro del mondo in pochi minuti e conferisce una centralità ancora maggiore al dibattito internazionale sui temi dell'IA. Quella del Pontefice non sarà una presenza solo formale, ma darà un contributo fattivo con lo stile franco e concreto a cui ci ha abituati. L'Italia sta già giocando un ruolo importante».
L'Italia è il primo Paese che ha varato un Digital Act. Regole per guidare questa rivoluzione. Un detto recita: «L'America fa, la Cina copia, l'Europa regola». Invece stavolta tutti ci imitano. Ci spiega di che si tratta?
«Abbiamo solo fatto un primo passo, ma l'abbiamo fatto prima degli altri in Europa. Il ddl sulla IA, appena presentato, apre il dibattito politico nazionale sul tema. Abbiamo tenuto a mettere in evidenza i settori più sensibili: la salute, il lavoro, la giustizia, le pubbliche amministrazioni, il copyright, i minori. Non si tratta solo di applicare regole corrette e coerenti, ma di facilitare un ecosistema nazionale di imprese».
È una sfida tecnologica, ma anche politica in un mondo dove Usa e Cina stanno combattendo una guerra fredda sulla tecnologia. Che partita giochiamo?
«L'Europa è esclusa dalla corsa per la supremazia tecnologica. Occorrono montagne di soldi che non abbiamo. Possiamo giocare un ruolo terzo, innanzitutto sulle regole. Penso sia utile un enorme sforzo pubblico europeo per costruire un modello di IA indipendente in grado di modellare competenze e soluzioni adeguate alle proprie esigenze. Sarebbe interessante replicare "un modello CERN" anche per l'IA. Altrimenti saremo costretti alla subalternità».
Si dice che l'intelligenza artificiale stia preparando la nuova guerra fredda digitale. E possibile?
«Credo che ci sia molta deterrenza. Attenzione, una cosa è la guerra fredda e altra è l'escalation verso lo scontro. Il confronto deterrente si basa sempre su un reciproco rispetto. Nella guerra fredda dello scorso secolo USA e Unione Sovietica si guardavano in cagnesco, ma le università collaboravano per far progredire le conoscenze. Dobbiamo fare in modo che questo si ripeta».
Come l'IA cambierà il lavoro e quale sarà il lavoro del futuro?
«Abbiamo alle spalle un secolo di cambiamento continuo del lavoro, dei suoi contenuti, di competenze e regole. L'IA non toglierà lavoro, lo cambierà, in qualche caso radicalmente».