Dal 15 novembre ecco i certificati online
Corriere della sera
«Le cose stanno accadendo». Sono le parole a cui Vittorio Colao tiene di più in queste settimane. E non solo perché si è appena concluso il Consiglio dei ministri sulla manovra che, tra le altre iniziative, stanzia 250 milioni di euro per le competenze digitali degli italiani. Ma per il metodo «Palazzo Chigi», forse a lui per nulla estraneo da manager e consigliere di grandi multinazionali, che prevede di decidere gli obiettivi ma anche di seguirne passo dietro passo, settimana dietro settimana, l’attuazione. Traspare da parte del ministro, da persona che ha vissuto molto all’estero, la volontà di far capire soprattutto agli italiani che il nostro Paese può avere l’ambizione di essere in Europa «se non il migliore, tra i migliori tecnologicamente».
Sa, gli italiani si convincono facilmente. Basta che vedano fatti concreti.
«Uno lo vedranno in questi giorni. Dal 15 novembre per avere un certificato anagrafico non servirà più andare allo sportello: basterà sedersi al computer e scaricarlo. Senza nemmeno pagare il bollo, che in qualche caso arriva fino a 16 euro».
Ma in tutta Italia da Milano a Palermo?
«In tutta Italia e per 14 tipi di certificato, dallo stato civile alla nascita, al matrimonio, ecc. Liberiamo il tempo delle persone e di chi lavora. Con la ministra dell’Interno Lamorgese diamo un segnale al Paese che non è più tempo di scetticismi, le cose si possono e si debbono fare». Roba da Mago Zurlì. Un colpo di bacchetta magica e avete messo d’accordo gli 8 mila comuni con lo Stato? «Molto più semplicemente applichiamo un metodo di lavoro congiunto, che significa mettersi attorno a un tavolo, connettere iniziative tra loro, decidere le regole e stabilire chi fa cosa, coordinando tutto grazie alla tecnologia. Abbiamo coperto il 98% dei cittadini e i pochi piccoli Comuni che mancano li stiamo aiutando a salire a bordo».
Se fosse così semplice…
«Certo si deve avere lo scopo condiviso di fare accadere le cose appunto. Di collaborare ognuno per la propria parte. Con la ministra Lamorgese abbiamo lavorato insieme. Ma se avessimo preteso di imporre al ministero dell’Economia di togliere i bolli dai certificati avremmo oltrepassato i nostri confini di competenza. Assieme si è deciso invece che l’idea aveva senso, e il ministero dell’Economia ha visto la perdita di gettito seppur minima come un investimento per liberare anche risorse umane per i comuni. Con il ministero dell’Interno stiamo preparando novità anche per la carta d’identità digitale».
Non è che ce ne siano molte in giro di carte d’identità digitale a proposito di modernizzazione…
«Al contrario, abbiamo già 24 milioni di carte d’identità elettroniche. Non le sfuggirà che ci sono anche 25 milioni di italiani che usano lo Spid, l’identità digitale. E questo grazie anche a tutti i partner».
Sulla Sanità digitale però siamo ancora fermi.
«Vorrei dirle che non è così. Primo perché abbiamo una situazione disomogenea: una parte del Paese è più avanti persino rispetto ad alcune nazioni europee, un’altra arranca. E il tema è fare in modo che le regioni più lente accelerino per raggiungere quelle più avanti. Per questo insieme al ministro della Salute Speranza e alle Regioni abbiamo avviato due iniziative importantissime: l’architettura per i dati sanitari digitali e le piattaforme di telemedicina. E vogliamo che tutte le Regioni ne beneficino in 2-3 anni».
Sempre che la rete tenga. Stiamo parlando di futuro?
«No, perché a gennaio partiranno le gare per collegare 6,2 milioni di case con la fibra. E qualche settimana dopo le gare per sostenere e accelerare il 5G. Si potrà lavorare in videoconferenza da zone remote, con il 5G dai treni ma anche digitalizzare l’agricoltura o piccoli stabilimenti e laboratori».
Ma tutto questo chi lo farà?
«Anche qui, pubblico e privato lavorando insieme. Una volta stabilite le regole e il metodo tutto è più semplice. Certo solo per la fibra ottica, sul quale lo Stato ha pronti 4 miliardi da investire, significherà creare 10-15 mila posti di lavoro che dovranno concretamente posare e giuntare i cavi. Si tratterà di avere personale preparato. E nei bandi vorremmo privilegiare gli operatori che si saranno portati avanti in termini di formazione».
Ma ogni Regione ha le sue agenzie per l’impiego e vuole avere una sua politica del lavoro…
«Ancora una volta: l’autonomia è giusta e funzionale nell’ambito di un quadro di regole. Al proposito stiamo lavorando con la sottosegretaria del Mise Ascani proprio su questo, per non trovarci impreparati all’inizio dei lavori».
Ma il rischio è come al solito che il Sud resti indietro.
«Il governo nel suo insieme, e le ministre competenti in particolare, hanno ben presente che il Meridione deve cogliere quest’occasione di sviluppo. Delle 6,2 milioni di case, la metà sono al Sud. E anche le gare per il 5G potranno prevedere un’attenzione verso i treni, la mobilità, le zone scarsamente popolate. Nei prossimi mesi si inizierà a vedere quello che potrà essere il volto nuovo del Paese».
E con un nuovo presidente della Repubblica?
«Mi sembra irrispettoso parlarne, come ha ripetuto spesso il nostro presidente del Consiglio».
La cosa però influirà.
«Guardi, il governo oggi si preoccupa di fare in modo che le cose accadano come le dicevo. Questo è il nostro compito. Nell’incontro che ho avuto con la Vicepresidente Vestager l’Europa ci ha detto chiaramente che i tempi del Pnrr andranno rispettati assolutamente e senza proroghe».
Perché vede un rischio ritardi?
«No, io ogni lunedì chiedo a tutto il mio staff un rapporto sullo stato del rispetto delle scadenze che ci siamo dati. Immagino che anche i miei colleghi facciano lo stesso. Palazzo Chigi e il suo staff chiede e incalza ognuno di noi affinché il programma sia rispettato. Ripeto: il metodo sul Pnrr è essenziale».
Ho capito ma l’Europa non ha mostrato molta flessibilità.
«Vedere la Ue come matrigna o come bancomat è sbagliato. Semplicemente l’Europa ci impone un metodo. Nessuno si è chiesto da dove arriva il sistema che verifica quotidianamente i milioni di green pass? È grazie allo stimolo europeo se siamo stati al passo con gli altri Paesi su quel fronte. Da quanti anni ci veniva chiesto di avere una Agenzia per la Cybersecurity? Cinque anni? Ebbene in sei mesi il governo l’ha varata. Anche sul Cloud si sono superati gli scetticismi di chi pensava che non potessimo avere uno».
Ma ancora non c’è infatti.
«Abbiamo già approvato l’architettura delle regole con l’Agenzia, con livelli diversi di sicurezza. Abbiamo ricevuto proposte di partenariato. Si tratta solo di effettuare le valutazioni e con la gara si partirà a inizio 2022».
Si parte verso?
«Verso un Paese più innovativo, non solo più moderno. Verso la possibilità di imparare, lavorare e vivere meglio, con più opportunità per tutti ovunque in Italia».
Intervista di Daniele Manca pubblicata il 29 ottobre 2021 sull'edizione cartacea del Corriere della sera.